|
Benché la tematica dei reati informatici sia stata oggetto di profonde riflessioni da parte della dottrina italiana, del tutto trascurati sono stati gli effetti che la diffusione di queste nuove fattispecie criminose ha sortito sul processo penale. Eppure, la tematica non è di poco rilievo. Sviluppo tecnologico e criminalità informatica, infatti, rischiano di mettere a dura prova le tradizionali categorie dogmatiche, obbligando il processualista ad impegnativi sforzi ermeneutici. Questa attività interpretativa si presenta in tutta la sua complessità proprio nella disciplina delle intercettazioni telematiche. Queste ultime, anche a causa di una scarsa conoscenza delle loro concrete modalità di effettuazione, rischiano spesso di sfuggire alle maglie garantistiche dell'ordinamento processuale e di dare luogo a prassi devianti lesive dei più elementari diritti della persona sottoposta a procedimento penale. Risulta quindi di estrema importanza collocare questo istituto sul piano dei princìpi costituzionali e delle garanzie difensive, anche alla luce delle più recenti pronunce della Suprema Corte e della Consulta. Si tratta di una analisi che non va svolta soltanto con riguardo alle intercettazioni ex art. 266 bis c.p.p., ma che deve ricomprendere anche le intercettazioni preventive ex art. 226 disp. att. c.p.p., l'attività di indagine in materia di pedo-pornografia on line e le c.d. intercettazioni transnazionali. Ne scaturisce un quadro preoccupante, fatto di importanti carenze normative e di degenerazioni applicative di rilevante gravità. |
| avv. Luca Luparia |